Siamo circondati dalla parola sostenibilità. Tutto deve essere sostenibile: i nostri alimenti certo, ma anche il nostro stile di vita, i nostri abiti e i nostri consumi, ma precisamente cos’è la sostenibilità?

Nelle scienze ambientali ed economiche il concetto di sostenibilità si concretizza quando il livello di sviluppo raggiunto dalla società assicura il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere le possibilità delle generazioni future. Tale concetto è stato introdotto nel corso della prima conferenza ONU sull’ambiente del 1972, ma solo nel 1992 è divenuto cardine della nostra società. A mio modo di vedere è alla base della continuazione della vita e trovo curioso che siano stati necessari 50 anni per renderla così attuale.

La sostenibilità ambientale nella sua moderna concezione tende tuttavia a demonizzare qualsiasi attività antropica finalizzata all’uso delle risuorse naturali, sia semplice sfruttamento diretto o la gestione agronomica di un suolo, metodi di utilizzo ben distinti, ma che all’atto pratico vengono assimilati equiparandone gli impatti e gli effetti. Mi chiedo come può il “settore primario”, attività da sempre esercitata dall’uomo essere divenuta problema piuttosto che risorsa e da questo dilemma inizia la mia ricerca.

In effetti occupandomi di agricoltura ed ambiente ho sempre pensato che il mio lavoro avesse una naturale vocazione alla sostenibilità, tuttavia le modifiche normative che hanno interessato il settore (Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari – PAN) ed un nuovo approccio culturale verso le tematiche ambientali mi hanno convinto ad approfondire nuovi concetti, permettendomi di capire come sia possibile migliorare e rendere maggiormente sostenibili i nostri progetti con l’utilizzo di pratiche agricole ecosostenibili ed a minimo impatto ambientale.

Sembra che le aziende agricole piuttosto che imprese generatrici di reddito, svolgano solamente una funzione di salvaguardia, ma l’agricoltura rappresenta un’impresa a finalità econiomica con un indotto di milioni di euro e merita di essere considerata come tale. Per questo è necessario un nuovo approccio che coniughi le ragioni della sostenibilità ambientale con quelle altrettanto importanti della sostenibilità economica. In fondo si parla sempre di sostenibilità.

Senza reddito non c’è impresa e senza impresa non esiste il presidio del territorio offero dall’agricoltura. La sostenibilità è sostenibile solo se permette di raggiungiere gli stessi obiettivi economici con un minore dispendio di energie e risorse, altrimenti serve solo come spot pubblicitario per cavalcare il trend del momento.

Per dare risposta a questa esigenza ho dovuto imparare nuovamente ciò che sapevo per cambiare prospettiva, frequentando corsi e seminari ed incontrando persone affascinanti mosse da uno straordinario spirito ambientale il quale tuttavia molto spesso mal si coniugava con le esigenze di reddito delle imprese agricole. Per questo ho sperimentato personalmente alcuni concetti che rimandavano ad un’agricoltura d’altri tempi, scendendo a compromessi rispetto a ciò che credevo inderogabile a favore di scelte più consapevoli, mirate sempre e comunque al raggiungimento della redditività per l’impresa, unica strada percorribile.

Le foreste nascono e prosperano senza che nessuno le coltivi, sono sostenibili e sviluppano con l’ambiente circostante un naturale equilibrio, si rigenerano senza la necessità dell’uomo. Un ecosistema in equilibrio infatti è implicitamente sostenibile e maggiore è la sua stabilità e maggiori sono le sue capacità di autoregolazione rispetto a fattori interni ed esterni che tendono ad alterarne lo stato di equilibrio. L’uomo utilizzando i concetti dell’agricoltura naturale cerca di riprodurre tali meccanismi anche nei sistemi produttivi. La sfida è utilizare tali metodologie o meglio parti di esse su una scala produttiva più ampia, al fine di coniugare produttività con sostenibilità ed ottenere prodotti organoletticamente migliori. La sfida è integrare tali metodologie alle nostre imprese, ai nostri edifici ai nosti parchi e giardini per renderli autosufficienti o a ridotte necessità in modo da creare sinergie tra ambiente e territorio, unica via per la sostenibilità.

Dobbiamo capire che la biodiversità “animale” e “vegetale” è opportunità e non avversità, che la qualità incrementa il reddito e non la quantità, che i prodotti vanno saputi veicolare e raccontare perchè la standardizzazione tende a limitare la nostra comprensione, rendendo più difficile l’attribuzione del reale valore ai prodotti.

SI PUO’ FARE!!!!!! Diceva Gene Wilder in una famosa commedia horror degli anni ’70.

Si possono creare o riconvertire le azende agricole rispetto ad una nuova idea di produzione, si possono migliorare programmi e progetti minimizzando il consumo delle risorse e non per meri obblighi normativi, bensì per realizzare edifici meno costosi e più efficenti per noi e per i nostri cari, si possono realizzare giardini a basse necessità creando paesaggi di grande raffinatezza, si possono creare aziende rigeneratrici di risorsa utile per noi e per le generazioni future. Dobbiamo solo volerlo e affidarci a tecnici competenti che sappiano coniugare la sostenibilità ambientale con il fare impresa, al fine di salvaguardare il territorio e la competititività delle nostre imprese agricole. Io sono pronto e voi?

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